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giovedì 30 marzo 2023

28esima tappa

 Kocaeli-Duzce 109 km, temp. -1, cielo parzialmente coperto, vento da Nordest. 


Partenza alle ore 8,30 in direzione Est. Ancora una volta sulla ormai consueta D100, andare in bicicletta in autostrada non è un bel andare, lo sappiamo tutti, ma se non ci sono alternative compatibili può avere i suoi vantaggi.  Il primo è che la strada è ampia, ben segnalata, asfalto quasi sempre buono. Per cui non ti devi continuamente preoccupare della direzione.  Le pendenze sono quasi sempre morbide, mai più del 7%, e così stemperano i dislivelli su lunghe salite e discese. Il problema principale è il traffico assordante e se non c'è corsia di emergenza può essere molto pericoloso per la velocità dei veicoli.  

Inoltre si vede poco e gli incontri sono rarissimi,  solo qualche colpetto di clacson amichevole o saluti dal finestrino. Però oggi sono successi anche questi. 

Come dicevo, percorro la D100 per i primi 20 km, nulla di diverso da ieri, poi passato l'ultima città di Korfez che è ancora hinterland di Istanbul,  il traffico si dimezza, cominciano a vedersi campi coltivati e frutteti e non solo case e fabbriche. La corsia di emergenza diventa ampia, e quelle di marcia passano da tre a due. Mi sento quindi al sicuro e penso che riuscirò a fare un bel po' di km. Il problema principale, oggi, è stato il freddo. Un freddo che non ha mai mollato. Avevo guardato le previsioni prima di partire e davano pioggia dalle 10 alle 14 poi miglioramenti nel pomeriggio.  Quindi sono già partito bardato da pioggia, con anche le sovrascarpe. Alle 10 con puntualità comincia a piovere non troppo forte, poi pioggia mista a neve, poi solo neve. Neve asciutta che rimbalza sulla giacca come polistirolo.  Così per un'ora buona, ma poi smette. Io continuo a pedalare, mi fermo solo per fare una foto al lago Sapanca Golu,  che si costeggia per la sua lunghezza. 







Mentre scatto da una piccola area di sosta dove vi è solo una baracca di legno esce un uomo sui 60 anni, e vuole che entri a bere un chai  con lui. Si chiama Gengis, nella stamberga vi sono: 2 sedie, un tavolo malmesso, una branda e al centro una stufa di ghisa con la pentola del te. Non vi è altro. Chiedo: "tu vivi qua?" Mi fa cenno di sì e allarga le braccia, come dire, cosa vuoi farci. Il tè mi viene versato in un bicchiere a clessidra, che qua usano spesso per servirlo. Il chai è caldissimo e forte e mi fa piacere, mi chiede da dove sono partito e dove vado. La conversazione è difficile e forse non necessaria, bevo lentamente e finito mi chiede se ne voglio ancora,  ma declino, mi alzo e chiedo di fare una foto insieme intanto che ci scambiamo I nostri nomi. Lui accetta,  ma preferisce farla fuori, forse si vergogna a mostrare il nulla che ha.



Riparto ripensando all'incontro,  perché uno decide di vivere in un posto così,  lontano da tutti, con alle spalle l'autostrada? Poi capisco il bisogno di star solo, di alzarsi e guardare il lago, senza nessuno che ti imponga qualcosa, è il modo per diluire le delusioni che la vita ti può dare, una sorta di pausa interiore, un deserto forse dal quale ricominciare. 

Poco dopo, mi fermo per un'altra foto ad un baracchino dove è esposta frutta, in particolare mele e cotogne bellissime. 



Si materializza subito una signora che pensa ad un improbabile cliente. Io sorrido e dico che voglio solo fotografare la merce. Tentiamo allora una conversazione come prima, ma è impossibile,  io non capisco nulla di quello che dice e lei nulla di ciò che dico io. Riusciamo solo a sorriderci, ma prima di partire vuole regalarmi una cotogna.  Chiedo se si può addentare così senza cuocerla, lei mi fa cenno di sì.  Domani provo a colazione,  poi vi so dire.

Ormai è l'una lo capisco dal muezzin che accende il megafono. Pure in autostrada li hanno piazzati. Forse diranno lo stesso delle nostre campane che segnano le 12.

Intanto continua a piovere, campi allagati e canali pieni.





Perso che se il meteo è  fedele avrò ancora un'ora di pioggia poi dovrebbe migliorare. Per cui proseguo anche se piove mista a neve, in un attimo però tutto cambia, arriva un vento forte da Nord con una tempesta di neve, non c'è riparo, sono in aperta campagna e i vortici di neve impediscono di vedere la strada. Penso che data la stagione non può durare e continuo a spingere sui pedali. Fermarsi è peggio, senza riparo ti raffreddi subito. Per fortuna una fermata dell'autobus mi viene in soccorso, con i vetri laterali e un po' di pensilina è già qualcosa

Mentre consulto la mappa e mangio una banana, la furia si placa quel tanto da poter ripartire. 








Ora la strada sale per alcuni km e arrivo ad un passo, da qui ancora 20 km per arrivare a Duzce unica cittadina con albergo. C'è la posso fare! La strada scende e la velocità sale a 38 km/h, il freddo però in discesa è micidiale, piedi freddissimi, nonostante le galosce,  le mani fredde ma ancora attive grazie ad un paio di guanti che mi ha prestato Dario, mio cognato. 

Gli ultimi 20 fatti in pianura, ma con pioggia mista a neve fino all'arrivo.  Il meteo non ci ha preso! 

Arrivo finalmente alle 5 del pomeriggio,  altro salmo cantato, ma vorrei cantare anch'io per aver trovato un ottimo albergo "Turan Otel". Mi fiondo in camera e metto la temperatura sui 25°, ho voglia di sudare. Dolore sotto la doccia nel far rinvenire i piedi gelati, ma so che passerà presto. 

Insomma, per ora sempre happy end, ma non diciamolo forte, il nemico ci ascolta. 

Ciao alla prossima

190esima e ultima tappa di PedalEst

Atsugi-Tokyo 46 Km, temp 25° C, pioggia,  vento leggero da SE. Tokyo 0 Km. Foto scaricata da Wikipedia  Ebbene sì, sono arrivato alla meta. ...